Ma chi è esperto di birra? Parliamone!

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Kuaska mi ha salvato!Fino a qualche anno fa (pochissimi) se qualcuno in Italia si definiva “esperto di birre” o era Kuaska oppure suscitava reazioni-tipo: “Ne bevi tanta? Sei stato all’Oktoberfest?”.
L’idea che birre e cultura potessero convivere nella stessa frase semplicemente non esisteva così come era a zero la convinzione che ci fosse qualcosa di più oltre ai rutti fragorosi davanti alla TV di fantozziana memoria.
Era: passato prossimo, molto prossimo.
Oggi ci hanno sdoganato e le birre e il loro mondo incuriosiscono un pubblico vergine e fertile: l’esperto ora è necessario perché deve traghettare anime perse in un mare di sangue d’uva verso lidi maltati e divini.

Ma chi è un esperto di birra? Probabilmente quasi tutti i miei cinque lettori sono appassionati di birre buone e ne sanno, mediamente, più dei loro amici.
Ma cosa rende un consumatore abituale un esperto?
Bhè iniziamo a tracciare un identikit.

  • Innanzitutto il nostro cosiddetto esperto sa cosa gli fa preferire una birra ad un’altra?
  • Sa oggettivamente descrivere il motivo per cui preferisce la TipoPils alla Bud?
  • Saprebbe consigliare una birra ad un amico dopo averne capito i gusti? E possibilmente provocando un “Però, buona!” pieno di rispetto da parte dell’amico.
  • Il nostro esperto sa relazionarsi con i professionisti che incontra (publican,gestori di beershop, camerieri…)  per ottenere sempre quello che vuole senza farsi condizionare?
  • Se ordina una birra che non conosce riesce comunque a farsi un’idea di come dovrebbe essere prima di vederla?
  • Ha mai viaggiato andando alla radice delle birre che beve?
  • Ha un’idea precisa di come si produce una birra?

Se le disposte alle domande sono tutte sì, allora abbiamo iniziato a delineare il profilo dell’esperto.
Sbagliato.
Abbiamo appena definito un consumatore consapevole, un appassionato, un bere jeek, un illuminato. E allora che così un esperto?
C’è chi dice che un biersommelier lo sia, oppure un Certified Cicerone o un più “modesto” universitario.
Certo il mercato vuole medaglie sulle giacche e c’è sempre chi vuole primeggiare in tutto quello che fa.

Ma cosa diavolo è un esperto?

Esperto: persona alla quale, per motivo di professione oppure per acquisita competenza ed esperienza, viene richiesto di fornire pareri scientifici su argomenti di dettaglio.

Appassionato: qualcuno attratto fortemente verso qualcosa

Quindi, in pratica, se sono appassionato di fisica guardo il Discovery Channel, se ne sono esperto spacco i protoni con Rubbia.

Non esiste (per ora) una qualifica comparabile al sommelier, quindi chiunque può nominarsi esperto, professionista o no, e nessuno può dire nulla.
Ma io di solito parlo…

Un esperto di birre, per me, è chi riesce a dare ad un appassionato qualcosa in più, qualcosa che, da solo, non raggiungerebbe in modo così immediato, e fore non ci arriverebbe mai.
Esperto è chi riesce a dire “fichi secchi” mentre tu impazzisci per capire che diavolo ti ricorda quello che senti nel bicchiere.
Esperto è chi cambia il bicchiere e subito cambia la birra. Quello che riesce a dirti due cose che il giorno dopo ti rimangono in mente. Quello che “lo diceva che…” e così via.
Io ne ho incontrati un po’ di quelli che considero esperti, da Kuaska in poi, e ognuno di loro mi ha aiutato a crescere (niente facili battute…).
Ed è per rispetto a loro che non mi definisco esperto: sono solo uno che beve e parla: troppo poco o troppo, dipende dai casi!

 

 

24 Commenti

  1. Esperto, etimologicamente, è chi ha esperienza, cioè chi ha provato e sperimentato. Tradotto, chi ha consepevolmente trincato. Ergo, volente o nolente, SEI UN ESPERTO. Ed è inutile che fai il finto ubriacone snob. 😀

  2. Bel post, su una distinzione che spesso non si cerca nemmeo di fare 🙂
    Secondo me sarebbe interessante provare a ragionare un po’ anche sull’altro lato:

    Se queste differenze le può cogliere l’appassionato paragonandosi all’esperto… forse non è lo stesso per il neofita che guarda l’uno o l’altro. Per lui sono entrambe figure più preparate di lui.
    E senza viaggi, eventi, corsi, homebrewing, libri… non è in grado di quantificare la differenza di preparazione tra i due.

    Questo può portare a considerare “esperto” un appassionato seppur di lungo corso. E chi ci vuole marciare sopra magari proponendosi come traghettatore a pagamento… ha la strada spianata 🙂

    • La curiosità rende il neofita vivo. Se non è curioso di viaggiare, provare, parlare e sperimentare allora continuerà a credere che la Moretti Zero sia una birra perchè l’ha detto l’esperto.

      • Appunto, ma può essere che il neofita non si sia ancora dato da fare perchè non si è ancora interessato all’argomento. E così, per caso, ad una cena tra amici conosce uno che gli raconta che certa birra non la beve perchè blablabla… etc etc.
        Magari lo incuriosisce o magari no.
        Magari quella sera aveva portato una bottiglia da assaggiare oppure no.
        Comunque, qualsiasi sia il grado di competenza di questo tizio, probabilmente nei racconti della serata passerà per “quel suo amico esperto di birra”. Purtroppo è anche una questione di dialettica spicciola, per questo penso che i neofiti fanno fatica a cogliere la differenza tra i due.

  3. mah… secondo me tu non hai descritto l’esperto, ma il Grande Esperto. se ribalti il ragionamento al vino devi mettere il cassa integrazione l’80% dei sommeliè

    io di Grandi Esperti secondo la tua definizione ne ho incontrati forse un paio tout court e un paio specilisti nei difetti. ed anche loro, specie i tout court, a corrente alternata, come è naturale che sia. per me l’esperto è quello che definisci appassionato dotato ogni tanti di un lampo che squarcia il velo, della pennellata

    e non sono nemmeno persuaso che tutta l’espertitudine si risolva solo nell’analisi organolettica, per quanto il saperla fare *per sottrazione* sia una dote dei più grandi

    • @SR
      Basta parlare di vino!
      Per me le pennellate sono quelle che fanno la differenza tra un pittore della domenica e Renoir.
      L’esperto non deve correre su e giù per il campo, basta che danzi cinque minuti e porti a casa la vittoria…
      Ah, l’analisi organolettica non fa l’esperto. Altrimenti i computer ci massacrerebbero 😉

      • mah. per me hai una visione troppo elitaria. tra i pittori della domenica e Renoir ci sono tanti pittori di bottega niente male. che magari ogni tanto ti tirano fuori il capolavoro. c’è il Pinturicchio che non è Raffaello ma manco un cialtrone. c’è René Paresce che è un genio anche se nessuno lo conosce. c’è Van Gogh che aveva imparato da solo. e poi c’è Cezanne che ha cambiato la pittura non per quello che ritraeva, ma per il suo modo di usare colori e pennellate. la cosa veramente importante, secondo me, non è se il pittore-degustatore sta facendo o meno la storia della pittura-birra, ma accertarsi che il presunto pittore quando va a prendere i colori non si rechi al colorificio uscendone con un tollone di fissante ed il pennello cinghiale

    • sono d’accordo con SR su questo. Nel senso che l’ultima definizione mi sembra più adatta ad un “maestro”; personaggi tipo Kuaska insomma.
      Ce ne sono pochi al mondo ed a loro si possono perdonare anche “dimenticanze” o difetti che vengono compensanti dalla loro innata capacità di comunicare passione.

      Esperti lo possono essere anche persone “normali” ma che devono avere esperienza, capacità e conoscenze sicuramente superiori anche ad un qualunque supermegaiper appassionato (e sono d’accordo nel tenere le due cose separate)

  4. bel post.
    insomma, è una faticaccia fare l’esperto 🙂

    mi piace molto questa visione più da evangelista che da lesotutteio.
    l’esperto-evangelista sa comunicare. è paziente. non si chiude nella sua torre d’avorio.
    noi appassionati ne abbiamo molto bisogno.

      • Credo di aver capito cosa intendi e concordo. Però il confine è molto sottile.
        “Comunichi” a qualcuno che può trarre beneficio dalle tue parole, qualcuno che non conosceva quell’aspetto del mondo della birra che stai descrivendo. E di conseguenza, “insegni”. Altrimenti se l’interlocutore è “paritario” è una chiacchierata, seppur piacevolissima.
        Penso sia tutta una questione di modi di porsi, le strade attraverso cui si arriva a far apprezzare il prodotto sono secondarie, e non a tutti una chiacchierata al bancone con il publican giova quanto ( e come ) una “lezione” in un’aula.

        • sì, il confine è sottile. e se consideriamo insegnare come un arricchire chi ci sta di fronte, allora comunicare è insegnare.
          forse più che su queste due parole, a volte serve concentrarsi sul “saper” comunicare, “saper” insegnare.

          non si nasce imparati, ma tra un esperto e un esperto che “sa” fare quelle due cose, la storia facilmente sceglierà il secondo. magari non ora che siete in (relativamente) pochi, ma fra qualche anno la questione sarà dirimente.

          è vero anche che dipende da chi poi sta da questa parte, quelli che dovrebbero “saper” ascoltare. c’è gente che in testa non gli entra, e manco nel c**o, a volte.
          tutto sommato però ci sono campi ben peggiori in cui fare gli esperti 😉

          • Si potrebbe quindi dire che se un esperto sa comunicare bene rende gli appassionati che lo ascoltano più consapevoli.
            Quindi per avere appassionati sempre più consapevoli (a parte una minima dotazione data da Madre Natura…) servono esperti che sappiano comunicare.
            L’appassionato deve tendere al divertimento e alla propria soddisfazione, e quindi dovrebbe essere esso stesso metro della propria “illuminazione”.
            E conscio di quello che apprende, dovrebbe saper distribuire “a valle” la propria passione.
            Una sorta di piramide della passione birraria.
            Ma forse è tutto troppo filosofico: sono le 5, andiamo al pub! 🙂

          • Direi che tra l’appassionato e l’esperto bisogna inserire una terza figura intermedia: il comunicatore.
            Per riprendere la metafora sulla fisica, tra lo spettatore di Discovery Channel e Rubbia c’è di mezzo Piero Angela.
            Lui i protoni non li spacca ma ha contribuito alla diffusione della scienza pur essendo meno esperto di uno scienziato.
            Se si escludono casi di eccellenza alla Kuaska, per il resto danno di più alla diffusione della cultura birraria dei medio-esperti che sanno divulgare che dei grandi esperti che ti beccano i fichi secchi o il cartone bagnato.

  5. Bel post! 😉

    Aggiungerei che esperto è anche chi trasuda talmente tanta passione da trasmetterti qualcosa ancora prima che inizi a parlare tecnicamente di birra…
    Kuaska ad esempio possiede questo dono oltre alla sua indiscutibile conoscenza. Quando lo vidi la prima volta tre anni fa mi impressionò perchè davanti ad una platea varia, composta sia da neofiti, sia da appassionati, sia da gente del mondo del vino, riuscì ad usare un linguaggio universale capace di non rendersi ne noioso e “irraggiungibile” davanti ai meno esperti, ne tantomeno scontato davanti a chi ne sapeva già qualcosa. Esperto è anche chi sa parlare di birra in migliaia di “linguaggi” e arrivare sempre a lasciarti qualcosa!

  6. Molto bello, sincero e pieno di umiltà questo post!

    Sinceramente credo che li questioni “viaggi” e “conoscenza della produzione della birra” (anzi, specificherei…conoscenza pratica più che meramente didattica) abbiano più peso delle altre doti. Ne consegue automaticamente la capacità di comunicare cultura e modo di approcciarsi.

    Sicuramente gli esperti o super-esperti si possono contare sulla punta delle dita. E’ una scelta di vita, un sacrificio vero e proprio.
    Gli appassionati sono sempre di più, ma anche lì credo ci siano diversi livelli…

    • Sfondi una porta aperta;-)
      Viaggi e conoscenza pratica della produzione della birra ti portano a conoscere persone e a scambiare esperienze “fuori dal giro” portando spesso spunti su cui far crescere la propria passione.
      Ma soprattutto ti mettono davanti ad altri modi di “fare passione” insegnandoti come comunicarli.

  7. Beh, io credo che oggi esperti lo si possa diventare. Innanzitutto esiste una figura normata che, grazie a Dio, non deve prendere a prestito una parola dal lessico del vino per poterla poi adattare alle proprie esigenze (biersommelier). La qualifica di cui scrivo si chiama Cervoisier e si ottiene frequentando dei corsi (e naturalmente superando gli esami) che abbiano un programma standard e ben definito. Insomma una qualifica che provenga dalle istituzioni iinnanzitutto, perché di corsi cosiddetti liberi che molto spesso si contraddicono e lasciano nella testa dei discenti una grande confusione ne hanno piene le yasche tutti. E questo è un discorso. La qualifica va peròcorroborata da esperienza sul campo. Consapevole però. Diciamo che la qualifica serve a trovare più facilmente la strada per diventare un vero esperto di birra. Punto bumero tre: dopo la scienza e la coscienza (fatta di innumerevoli prove pratiche se possibile analitiche) ecco che scatta la parte emozionale che trasmette sensazioni, umanità promanate dal dovin prodotto, Ecco, qua ci vuole chi tali sensazioni le riesca a trasmettere e quindi sia un comunicarore. Kuaska va benissimo ma non è l’unico. L’importante è che nel nostro Paese ci siano sempre più esperto di birra. Possibilmente veri.

    • Onestamente per me l’esperto non lo fa il “pezzo di carta” (che credo si possa conseguire in una sola sede) ma l’anima. Questo era il senso del mio post: emozionare e dare qualcosa che rimane e che apre la mente, piuttosto che snocciolare i luppoli pacifici come gli affluenti di destra del Po. Avere la curiosità di andare a Burton piuttosto che accamparsi davanti al beershop in attesa della nuova Mikkeller.
      L’esperto è quello che può in due minuti ti spiega come riuscire a spillare una birra di DeDolle, ma che da DeDolle parla di calcio. Quando si lavora si è professionali, quando ci si diverte ci si diverte. E il 99% di quelli che bevono birra buona consapevolmente lo fanno per divertirsi, spero. E spero che siano fortunati come me, con un esperto al tavolo.
      Amen

      • L’etimologia di esperto ci porta fatalmente al sostantivo ‘esperienza’, che è la somma delle vicende vissute da un singolo individuo nel corso della proprie vita. Naturalmente c’è chi in un determinato settore ha più esperienza di un altro, anche se mi sento di dire che le esperienze più sono qualitative e meglio è. Sicuramente andare a Burton è una bella esperienza, dai Dolle Brouwers è non solo bella ma coinvolgente, andare a visitare la Brasserie à Vapeur è addirittura entusiasmente, tant’è che Jean Louis Dits, dopo mezz’ora che ci conoscevamo, mi ha fatto fare da cicerone a due pisani in visita alla birreria e così via. Di esperienze se ne provano tante quando si fanno le nozze d’argento con la bevanda di Gambrinus…ma che male c’è se uno, oltre a essere genericamente un esperto di birra, vuole gratificarsi anche con un pezzo di carta che se non altro sia un testimone un po’ meno anarchico della sua preparazione? E chi ha detto che si possa conseguire in una sola sede? E chi soprattutto potrà negare il piacere di divertirsi lavorando o di lavorare divertendosi?

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