Birre alla frutta

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Quando annusiamo una birra spesso diciamo che è “fruttata”: chi non ha mai esclamato “banana!” annusando una Weizen?
Il carattere fruttato che percepiamo non è però quasi mai dovuto all’impiego di frutta nella produzione ma è impartito dagli esteri e da altre componenti volatili che determinano l’aroma della birra.
Ma il vero carattere di una birra è raramente così semplice da essere riconducibile ad un solo aroma (o frutto), ma piuttosto è l’effetto combinato di una miscela di esteri che determinerà il “naso”, la complessa amalgama di profumi che conferiscono unicità di una birra. Una componente importante la giocano anche i luppoli: alcuni di questi, usati come componente aromatica della birra, danno note agrumate ben definite (il famigerato pompelmo del Cascade) o toni tropicali quasi da frutta fresca, fino all’uva o al cocco sprigionati delle varietà più modaiole di origine pacifica.

Sì, ma se la frutta dentro ce la mettono davvero?

Se stai leggendo queste pagine si suppone che tu sappia che la birra è un fermentato di cereali e che esistano altri fermentati di frutta mediamente famosi quali il sidro, il perry, il vino eccetera. Se la base della bevanda sono i cereali fermentati e viene aggiunta della frutta durante una qualunque delle fasi di produzione parliamo di birre con frutta o alla frutta.

Negli anni di un passato lontano l’uso di frutta per migliorare il gusto della birra era pratica comune, molto prima dell’impiego del luppolo sia come conservante che come “aromatizzante”.
Testimonianze storiche ci fanno supporre che in Egitto si impiegassero arance per aromatizzare bevande di malto simili alla birra, che i Sumeri utilizzassero i datteri come aromatizzante e che per il funerale di Mida sia stata preparata una bevanda a base di uva e cereali fermentati.
In Nord America ai tempi delle colonie, per evitare embarghi e tasse, i birrai usavano qualsiasi ingrediente per le loro birre (non che la cosa oggi sia cambiata…). Ci sono ricette commerciali, risalenti al 1771, che includono pastinaca (una radice), abete rosso e le più “attuali” zucche.

L’aggiunta di frutta alla birra aveva numerosi vantaggi tra cui l’aggiunta di zuccheri fermentabili al mosto che ne aumentavano il potere nutrizionale (spesso la birra era un vero e proprio pasto liquido).
Il gusto e l’aroma della frutta poteva inoltre migliorare il sapore delle birre nascondendo o mitigando alcuni “off-flavours” dovuti a fermentazioni alquanto incontrollate.

Oggigiorno la frutta può contribuire a donare alla birra colori, sapori e profumi diversi da quelli che il solo malto produce e per questo motivo molti birrai si cimentano con il suo impiego nelle forme e nei modi più disparati.

Tradizionalemnte la terra delle birre alla frutta è stata il Belgio e in modo particolare è da segnalare l’utilizzo di frutta nella produzione di birre a fermentazione spontanea. Sì, sto parlando dei lambic e ritengo che tu sappia cosa siano.

Le Kriek, dalla parola fiamminga che identifica una particolare varietà di ciliegia acida (Prunus Cerasus), viene prodotta aggiungendo ciliegie nelle botti che contengono lambic per poi essere lasciata rifermentare in bottiglia.
Le Framboise, o frambozen in fiammingo, vengono prodotte in un modo simile alle Kriek, ma con aggiunta di lamponi piuttosto che di ciliegie.

La nascita delle Kriek si rifà ad una leggenda spesso raccontata da Kuaska (che se ne assume le responsabilità!): un crociato belga, di ritorno dalla terra santa, non disponendo di vino (il sangue di Cristo) decise di dare il colore del sangue a quello che per lui era il vino: la geuze. Aggiunse così delle ciliegie al suo nettare e il gioco fu fatto.
Per inciso, leggende a parte, fu proprio durante le prime crociate che i monasteri belgi cominciarono a produrre e a vendere la birra per finanziarsi anche perchè la loro birra “leggera” era igienicamente preferibile alla semplice acqua.

La produzione di birre alla frutta in genere richiede più impegno e tempo rispetto alla produzione di birre ma sempre più sono i produttori che si sbizzarriscono con questo ingrediente che implica una grande attenzione. Il detto sentito moltissime volte durante le visite da Cantillon  “quando la frutta entra in birrificio, arriva il diavolo!”  indica proprio il fatto che la frutta, se non domata, può essere fonte di problemi in birrificio soprattutto perchè portatrice sana di lieviti incontrollabili.

In Italia, ma non solo, uno dei birrifici che produce ottime birre con impiego di frutta è il Birrificio Montegioco che la utilizza in tutte le sue forme: dallo sciroppo di mirtilli della Draco alle pesche di Volpedo della Quarta Runa passando per tutte le declinazioni dell’uva, alle ciliege, alle more di gelso fino alle fragole (e ne dimentico sicuramente…).

Ultima nota: le vere birre alla frutta NON sono dolci (o almeno non dolci come un succo): spesso infatti il suo impiego determina una maggiore acidità alle birre che ben si amalgama al carattere fruttato.

Addenda
Nella prima versione suggerivo alcune pagine di Fermentobirra per approfondire il tema “esteri”.  Grazie alla segnalazione di Davide riporto il link alla discussione seguita a tali articoli sul newsgroup IHB.  Per chi volesse approfondire l’argomento sui profumi di una birra segnalo quindi questo articolo di Tex. Sulle cose che non so tendo a fidarmi di più di una persona con cui ho bevuto qualche birra…

2 Commenti

  1. Ribadisco la mia decisa diffidenza verso il secondo articolo di FermentoBirra, che avevo esplicitato con domande allo stesso Visioli a cui peraltro non ha mai risposto. Ci sono vari refusi (segnalo ad esempio “metil acetato” al posto di “mentil acetato”, quando si parla di menta, e l’ultimo paragrafo lo trovo totalmente errato.
    Qualche nota tecnica la si trova in questo mio vecchio articoletto: http://sdrv.ms/19mG2AL

    Tex

    • Grazie Tex, provvedo a evidenziare il tuo scritto. La sua teoria sulla schiuma in effetti mi lasciava perplesso, anche perchè non ho trovato il seguito in cui spiega il perchè delle affermazioni.

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