Mi considero uno nella folla di quelli che fanno e bevono birre di qualità, persone che cercano i contorni del gusto e le onde degli aromi in quella che per molti rimane solo una bevanda gialla e gassata.
E sono uno di quelli che scrive e parla di birre. Uno di quelli che lurkava usenet negli anni con lo zero davanti (e prima) e che poi ci ha iniziato a bere (bene) e a scrivere.
Scrivere di birre non è facile. E’ da un po’ che cerco di teorizzare come sarebbe “il giusto”, di quale siano le caratteristiche che lo scrittore di birra ideale dovrebbe avere e di come questa passione (non missione) vada vissuta.
Cosa differenzia nelle parole di Kuaska “quelli che scrivono sui blog” (dispregiativo) da “quelli che scrivono” (positivo) ?
Ecco che in uno scritto di Ray Daniels del 2008 ritrovato per caso ho letto cose che pensavo ma che non riuscivo a scrivere in modo compiuto. Quindi seguo la sua traccia imbruttendola di mio.
Lo scrittore di birra dovrebbe essere autentico.
Cercare l’autenticità parlando con chi fa e vive birra è una necessità; la capacità di rapportarsi con il birraio che brassa nel granaio nei weekend e con il manager californiano tutto sorrisi, surf e 10 birrai a cottimo è un obbligo. Saper capire e ascoltare le storie e i percorsi che hanno portato le persone con cui parli dove sono è fondamentale; sapere che il tal birraio guidava i bus non ti fa capire le su birre ma ti fa capire il suo percorso e ti spinge a far apprezzare il fascino del lavoro che ama.
Lo scrittore di birra deve essere diplomatico.
Dimentica le fogne, dimentica le rietichettature, dimentica gli aumma aumma.
Sapiamo benissimo che i risultati spesso non sono come te li aspetti.
Ma la berlina facile alla lunga non paga. Essere positivi e obbiettivi non vuol dire omertà o essere prezzolati ma semplicemente significa dare il giusto peso a tutto.
Se qualcosa non va il modo per sottolinearlo deve essere adeguato.
Lo scrittore di birra deve essere tenace.
Credici, persevera e parla. Oggi è sempre più facile trovare una platea, ma tutto, dall’informazione poco corretta delle multinazionali all’inesperienza di alcuni attori porta ad un offuscamento della “luce birraria vera”.
Poco a poco il popolo de “la birra è amara e fa schifo” si assottiglierà e faremo più fatica a trovare uno sgabello libero al pub.
Lo scrittore di birra deve essere modesto.
Non esiste il palato assoluto. E c’è sempre qualcuno meglio di te. Parla di quello che sai e di come lo sai, e ascolta. I grandi hanno fatto così, perché non dovresti farlo tu?
Abbiamo sempre contestato al mondo del vino le cravatte e la schiena dritta, cerchiamo di non copiare (male) le guide coi voti e i semidei sommelier che “con tre aggettivi (uno inventato) ti ribalto il mercato”.
Le birre quindi non dovrebbero essere un vettore verso qualcosa, ma essere semplicemente il viaggio, quel viaggio che non finisce e che ti fa venire una gran voglia di chiedere, ascoltare e raccontare a chi non c’era o a chi, quella volta lì, inseguiva un rate e non una pinta.
Ray Daniels nel suo scritto parla di Michael Jackson e di come lui fosse, semplicemente, il leader della band (come lo definì Tomme Arthur), band in cui io sono sempre stonato.
MJ è l’uomo con cui avrei tanto voluto bermi due pinte in un pub senza neanche riuscire a parlare. Un po’ come faccio con Kuaska, a meno che non si parli di calcio…
sagge parole
secondo me lo scrittore di birra deve avere ben chiaro chi è il suo interlocutore, con chi sta parlando, in che contesto e luogo. in funzione di questo deve miscelare i vari ingredienti
poi uno scrittore di birra secondo me deve essere moderatamente coinvolgente. il che implica un minimo di manualità con la sua lingua madre, dettaglio per nulla scontato
ma per me la regola più importante, FONDAMENTALE, è per chi sta scrivendo. uno può scrivere rivolto a tre possibili pubblici: i suoi lettori, sé stesso, l’oggetto di cui scrive. una platea non esclude ovviamente l’altra ma è altrettanto impossibile rivolgersi a tutti e tre contemporaneamente nello stesso modo
secondo me un grande divulgatore deve avere come primo obiettivo chi lo legge. come secondo sé stesso (se togli il piacere di farlo, togli tutto). in ultima istanza l’oggetto di cui scrive
Magari, parafrasando Frank Zappa.
“Gli scrittori di birra (gastronomici) sono persone che non sanno scrivere che intervistano persone che non sanno parlare per persone che non sanno leggere.”
“Scrivere di birra (vino, whisky, cibo) è come ballare di architettura”
Sono d accordo che obiettivi (informare, divulgare, suggestionare), il mezzo (web 2.0, libro, rivista) e il pubblico sono variabili fondamentali. Quelli bravi bravi ovviamente fanno scuola e spesso escono dalle regole.
Bell’articolo Tyrser e mi trovo pure d’accordo con Stefano. Se mi date entrambi l’indirizzo di casa vi faccio trovare un bel pacco bomba per eliminarvi…. 🙂 Ho sempre sostenuto che i concorrenti vanno messi a tacere prima possibile e so pure che, anche se non lo diranno mai, ci sono altri che la pensano come me…
Battute a parte: lo scrittore di birra, a mio avviso, deve cercare di essere sincero. E avere due riferimenti in testa: ciò di cui sta scrivendo e a chi si sta rivolgendo. Esiste però anche il “comunicatore” di birra, che utilizza il suo mestiere (quello di scrivere o parlare) per un committente specifico. Che, in qualche caso, può essere anche se stesso. Il confine tra i due può essere molto sottile, a volte quasi invisibile…
Lo scrittore di birra dovrebbe avere un requisito fondamentale: conoscere l’argomento di cui scrive.
Dipende tutto da che posto ha la birra nella vita di chi scrive di birra. Tutto ne sarà la conseguenza, e semplicemente scrivere per il puro piacere di farlo e per condividere sono la chiave per riuscire a scrivere bene di birra.
Mi piace molto questo passaggio: “Se qualcosa non va il modo per sottolinearlo deve essere adeguato.”, e le voci che riguardano l’umiltà nel giudizio e le orecchie per ascoltare storie di birra…
oddio..posso dire l’ennesima cazzata?!?
secondo me vi prendete tutti troppo sul serio..pure gli Stones cantavano “It’s only R N’R but i like it”…scrivere di birra..mah..
Tu hai un blog, tu scrivi, quindi avrai delle tue linee guida mentali. O per lo meno me lo auguro.
Se per te “scrivere di birra” è una cosa fatta “tanto per fare” e da non prendere seriamente, è una tua scelta.
C’è una differenza e un mondo di sfumature, imho, tra il “cazzo di cane” e “troppo sul serio”.
Io scelgo le mie, mica è vangelo.
Posso citare come tua la definizione di “beer evangelist” o è di un autore apocrifo?! 🙂
Non è un termine mio ma tu usalo 🙂